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Criptovalute: riflessioni a margine dei casi trattati dallo Studio

By 26 Ottobre 2023Interventi

Era il 2008 quando Satoshi Nakamoto, la cui identità è tutt’ora sconosciuta, ha realizzato la prima moneta virtuale o bitcoin.

In questi anni, tra alti e bassi, le c.d. cripto-attività, cioè attività aventi ad oggetto monete virtuali, hanno registrato un’enorme diffusione.

Le monete virtuali possono essere utilizzate come mezzo di scambio, o detenute come strumento di investimento – alla stregua di una moneta “reale” – ma possono essere trasferite, archiviate o negoziate esclusivamente per via telematica, cioè elettronicamente. Peraltro, non sono garantite da una banca centrale, né da un’autorità di garanzia, non sono moneta legale (fiat money), quindi non devono necessariamente essere accettate come mezzo di pagamento ex 1277 c.c.

Sono considerate criptovalute anche le c.d. Central Bank Digital Currency (CBDC), una forma di moneta elettronica che può essere scambiata in modo decentralizzato, direttamente tra l’ordinante e il beneficiario, senza la necessità di un intermediario. Più in generale si parla di stablecoin, per indicare cripto-attività le cui oscillazioni di prezzo sono molto contenute, in quanto il loro valore è legato ad un portafoglio di attività finanziarie (asset-linked stablecoin), o ad attività reali di grande stabilità (ad esempio l’oro), o il cui valore è stabilizzato da un algoritmo (algorithmic stablecoin).

Tuttavia, le cripto-attività più diffuse hanno ad oggetto i c.d. bitcoin, che possiamo definire unbacked crypto-asset, cioè attività rischiose in quanto non supportate da alcuna forma di “garanzia”, e non legate ad un’attività “reale” sottostante (linked asset coin). Inoltre dal 2017 esistono i c.d. non fungible token (NFT), token unici e riconoscibili utilizzati per rappresentare asset digitali (opere d’arte, biglietti per eventi ecc.), o per certificare proprietà fisiche reali (beni immobili, beni mobili registrati, opere d’arte), e si distinguono dagli utility token, gettoni digitali non negoziabili che offrono diritti amministrativi o licenze d’uso, dai security token, gettoni trasferibili e negoziabili su una piattaforma, detenuti a scopo di investimento (es. spice), e dai payment token, come i bitcoin e i litcoin, che, come abbiamo visto, sono utilizzati come mezzo di scambio di beni e servizi o come riserva di valore.

Le reti sulle quali avvengono le operazioni aventi ad oggetto valute virtuali si distinguono in DLT permissioned (private), in cui per accedere occorre registrarsi e identificarsi, e DLT permissionless (pubbliche), in cui può accedere chiunque senza autorizzazione, tramite l’utilizzo di smart contracts, protocolli informatici eseguiti automaticamente a determinate condizioni.

La custodia dei token avviene attraverso portafogli virtuali o wallet, ed in particolare ve ne sono di quattro tipi: hot custodial wallet (gestiti da un terzo che detiene le chiavi private dell’utente che può accedere mediante forme di crittografia); hot non custodial wallet quando (l’utente mantiene il controllo delle chiavi), cold hardware wallet (dispositivo fisico digitale), cold paper wallet (fogli di carta in cui sono registrati indirizzo digitale e chiave privata).

Le criptovalute possono essere negoziate attraverso un exanger, servizio on line che consente agli utenti di scambiare le criptovalute con altre valute virtuali, o con valute tradizionali. In genere questi sistemi per funzionare necessitano di un enorme apporto di energia elettrica. Altrimenti la transazione può avvenire over the counter (OTC), o “fuori mercato”, anche off line, peer to peer, o tramite terzo.

 

Ad oggi manca una disciplina organica – che dovrebbe essere, auspicabilmente, il più possibile uniforme in tutto il mondo – del fenomeno delle cripto-attività. La Cina le ha addirittura vietate. Malta, Francia e Germania hanno emanato discipline ad hoc. La Commissione europea, nel settembre 2020, ha presentato due proposte legislative: il Market Crypto-Assets Regulation (MiCAR) e il Digital Operational Resilience Act (DORA). Il regolamento MiCAR è stato approvato dal Consiglio europeo il 5 ottobre 2022, e dal 23 febbraio 2023 si applica negli Stati membri, e prevede un regime di autorizzazioni e di supervisione sui prestatori di servizi in cripto-attività, affidato alle autorità nazionali. Dall’altro lato si prevede una disciplina delle c.d. stablecoin, distinguendo quelle ancorate ad una valuta ufficiale (e-money token) da quelle agganciate ad altre attività (c.d. asset-reference token).

In Italia la normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/2007, da ultimo modificato con il d.lgs. 125/2019, parla per la prima volta di “valuta virtuale” definendola “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Si parla anche di Virtual Asset Service Provider, o VASP, per indicare qualsiasi persona fisica o giuridica che offra servizi collegati alle valute virtuali in via professionale.

La Consob, da parte sua, in qualità di autorità di vigilanza del mercato finanziario, ha pubblicato nel gennaio 2020 un rapporto con il quale ha fornito indicazioni per la regolamentazione delle cripto-attività.

Per quanto attiene alla normativa fiscale, è con la Legge di Bilancio 2023 (art. 1, commi 126-147 della Legge 207/2022) che per la prima volta si affronta il tema delle criptovalute e delle attività legale alla Distributed Ledgers Technology.

Si parla di registro “distribuito” in quanto composto da unità indipendenti (c.d. “nodi”), non centralizzate in un’unica unità. La principale applicazione è rappresentata dalla blockchain che prevede l’archiviazione delle informazioni in “blocchi”, che, regolarmente, vengono condivisi dai nodi del sistema e resi immutabili.

Ora queste attività sono inserite nell’ambito del quadro impositivo dei redditi delle persone fisiche. In particolare, è stata inserita nel Testo Unico delle imposte sui redditi (TUIR, alrt. 67, comma 1, lettera c-sexies) una nuova categoria di “redditi diversi”, costituita dalle plusvalenze e dagli altri proventi realizzati mediante rimborso, cessione a titolo oneroso, permuta, detenzione di cripto-attività, comunque denominate, archiviate o negoziate elettronicamente su tecnologie di registri distribuiti (o tecnologie equivalenti), non inferiori complessivamente a duemila euro nel periodo d’imposta.

Con riguardo alla rilevazione a fini fiscali di trasferimento di denaro da e per l’estero (monitoraggio fiscale ex D.L. 167/1990), sono state incluse espressamente le nozioni di cripto-attività e dei prestatori di servizi di portafoglio digitale.

Inoltre, è stata introdotta una sorta di sanatoria retroattiva, per dare la possibilità ai contribuenti che non hanno indicato nella propria dichiarazione la detenzione delle cripto-attività e i redditi che ne derivano, di regolarizzare la propria posizione presentando un’apposita dichiarazione e versando la sanzione per l’omessa indicazione di tali beni nella misura ridotta pari allo 0,5% per ciascun anno sul valore delle attività non dichiarate; nel caso in cui le cripto-attività abbiano prodotto reddito, un’imposta sostitutiva in misura pari al 3,5% del valore delle cripto-attività detenute al termine di ogni anno o al momento del realizzo.

Infine, si prevede l’applicazione dell’imposta di bollo ai rapporti aventi ad oggetto le cripto-attività nella misura del 2 per mille annuo del relativo valore, e, a decorrere dal 2023, si prevede l’applicazione di un’imposta sul valore delle criptoattività detenute da tutti i soggetti residenti sul territorio dello Stato.

Ad oggi, le cripto-attività presentano sicuramente vantaggi in termini di riduzione dei costi e dei tempi di transazione, ma non sono da sottovalutare i rischi legati alle possibili perdite, anche ingenti, a causa di truffe, malfunzionamenti del sistema, attacchi informatici, smarrimento delle password.

E’ necessario far presente ai nostri clienti che oggi mancano tutele legali e contrattuali analoghe a quelle che accompagnano le operazioni in valuta avente corso legale.

Non mancano altresì rischi legati all’anonimato che caratterizza queste transazioni che potrebbero, pertanto, essere appetibili a chi svolge attività illegali e di ricliclaggio.

Infine, nel momento in cui vengono forniti i propri dati, si autorizzano non meglio identificate piattaforme ad essere “responsabili” del loro utilizzo.

Talvolta si permette anche a dei minorenni di operare, ad esempio con dei conti “demo”, o con il supporto di un adulto, e tutte le problematiche già evidenziate vanno affrontate con ancora maggiore cautela.