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Società di capitali: riduzione del capitale al di sotto del limite legale

By Sentenze

Con l’ordinanza n. 2984 del 2022 del 1 febbraio 2022, la Cassazione si è pronunciata in tema di riduzione del capitale delle S.p.A. o delle S.r.l. al di sotto del minimo legale, richiamando il costante principio di diritto secondo il quale “nell’ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge, lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione della società, da deliberarsi, peraltro, con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto costitutivo, cui detti provvedimenti danno sostanzialmente luogo, e non già all’unanimità, come necessario per la deliberazione di revoca dello scioglimento, in quanto, con il verificarsi dell’anzidetta condizione risolutiva, vengono meno ex tunc lo scioglimento della società ed il diritto del socio alla liquidazione della quota”.

La Suprema Corte ha così definitivamente respinto la tesi secondo cui le perdite oltre il terzo del capitale e che lo riducono sotto il minimo legale, non provocherebbero l’immediato scioglimento della società.

In tale situazione, gli Amministratori dovrebbero, “senza indugio” provvedere a convocare l’assemblea per deliberare l’azzeramento e la ricostituzione del capitale o la trasformazione della società, allo scopo di impedire lo scioglimento. La Suprema Corte puntualizza infine che “Il mancato rispetto della sollecitudine che detta norma impone agli amministratori per la convocazione dell’assemblea potrà essere causa di loro responsabilità, ma non preclude all’assemblea stessa di adottare, con effetto ex tunc, (…) le delibere di ripianamento delle perdite in modo da ricostituire il capitale quanto meno al limite legale

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Ord. Cass. del 1 febbraio_n. 2984_2022-1-11

Le Sezioni Unite tornano a pronunciarsi sulla nullità della fideiussione

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Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 8472/2022, sono tornate a pronunciarsi su una questione di particolare e massima importanza con riguardo alla nullità testuale del contratto di fideiussione, sancendo espressamente che:

In tema di attività di prestazione di garanzie a opera di soggetti vigilati, la fideiussione prestata da un c.d. confidi minore, iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, TUB (nel testo vigente “ratione temporis”), nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario, in quanto il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né è preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale.”

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S.U. Cass. Sentenza_n. 8472_2022

Esecuzioni Immobiliari: processo esecutivo valido anche se la sentenza è priva di formula esecutiva.

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Con Ordinanza del 15 febbraio 2022, il Tribunale di Verona, conformandosi pienamente al precedente orientamento della Suprema Corte (Cass. Civ., sent. 12 febbraio, 2019, n. 3967), ha affermato che la mancanza della formula esecutiva non è di per sé vizio idoneo e sufficiente a travolgere né il titolo esecutivo, né, tanto meno, il processo di espropriazione forzata fondato sul titolo carente di tale requisito.

Molteplici sono le motivazioni, espresse dal Tribunale, alla base della pronuncia in commento.

In particolare, viene correttamente rilevato che la lamentata mancanza della formula esecutiva, nonostante sia indicata dal debitore come “causa di assenza del titolo esecutivo”, costituisce solamente una mera irregolarità formale, come tale suscettibile di essere fatta valere esclusivamente, ai sensi dell’art. 617, comma 1, c.p.c., con atto di citazione in opposizione agli atti esecutivi, da notificarsi al creditore procedente entro 20 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo: pertanto, va da sé che l’opposizione proposta nelle forme del ricorso, dopo il pignoramento, seppure qualificata come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., è da ritenersi inammissibile in quanto tardiva.

In secondo luogo, viene rilevato che, in ogni caso, l’assenza della formula esecutiva, affinché possa costituire una irregolarità rilevante, deve essere idonea a causare un qualche pregiudizio al creditore opponente.

Da ultimo, il Tribunale chiarisce come l’elemento essenziale di un titolo esecutivo per un credito pecuniario derivante da un contratto di mutuo formato nelle forme dell’atto pubblico notarile, sia costituito dall’attestazione nell’atto pubblico dell’erogazione della somma di denaro, atteso che il contratto di mutuo è un contratto reale che si conclude soltanto con la traditio della somma mutuata, sicché la quietanza notarile di consegna del denaro costituisce la prova, munita di pubblica fede, della conclusione del contratto e del sorgere in capo al mutuatario/consegnatario dell’obbligo di restituire quanto ricevuto.

In conclusione, dalla lettura della pronuncia, appare apprezzabile, in primo luogo, lo sforzo del Tribunale di voler distinguere tra previsioni processuali che impongono vuoti e inutili formalismi e requisiti funzionali che riconoscono efficacia sostanziale agli atti. In secondo luogo, di particolare pregio appare anche il tentativo del Tribunale di aver riguardo all’ordinamento giuridico vigente nel momento in cui viene chiamato ad applicare le singole disposizioni, facendo riferimento all’evoluzione legislativa (anche a quella non ancora in vigore) ma, a condizione che le norme non ancora entrate in vigore possano essere ritenute esplicative o di interpretazione autentica di quelle già vigenti.

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Tribunale di Verona, Ord. del 15 febbraio 2022

Amministrazione Straordinaria: nulle le cessioni in spregio agli artt. 62 e 63 del D.lgs. 270/1999.

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Il Tribunale di Milano, con il recente decreto del 24 marzo 2022 emesso all’esito di un giudizio di opposizione allo stato passivo, si è pronunciato su una richiesta di ammissione allo stato passivo presentata da parte di una Amministrazione Straordinaria, la quale ha agito per ottenere la riforma del provvedimento mediante il quale il G.D. aveva, in via principale, respinto la richiesta di ammissione allo stato passivo sulla base della nullità del contratto di cessione d’azienda stipulato tra la Curatela del Fallimento e l’Amministrazione Straordinaria per la violazione delle regole imperative sulla vendita.

Tale pronuncia si colloca all’interno della disciplina generale delle procedure concorsuali, le quali sono finalizzate al perseguimento di due interessi fondamentali a carattere imperativo ovvero: 1) l’interesse a che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più vicino possibile al prezzo di mercato 2) il soddisfacimento della par conditio creditorum.

Per tale ragione il Tribunale di Milano ha quindi rigettato il ricorso in opposizione allo stato passivo presentato dall’Amministrazione Straordinaria confermando il provvedimento del Giudice Delegato.

A parere del Collegio, il Giudice Delegato avrebbe correttamente dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 1418 del Codice Civile, il contratto di cessione d’azienda intervenuto tra le parti, in considerazione della natura imperativa dei principi sottesi agli artt. 62 e 63, D.Lgs. 8 luglio 1999.

In tale contesto, la pronuncia del Tribunale di Milano si inserisce nel solco giurisprudenziale sorto con la pronuncia della Cassazione del 27 maggio 2009 n. 12247, che ha previsto la nullità di tutti gli atti prodromici alla vendita, laddove vengano violate le norme imperative in tema di vendita, ma, allo stesso tempo, collide con le norme in materia di Amministrazione Straordinaria come, ad esempio, la salvaguardia dei livelli occupazionali (nel caso in specie, lesi dalla declaratoria di nullità del contratto di cessione d’azienda).

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Decreto Tribuanle di Milano

Gestione di capitali: la Suprema Corte si pronuncia sulla qualificazione giuridica del rapporto tra società fiduciarie nella gestione del capitale conferito

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Le Sezioni Unite, con una recente pronuncia su questione di massima e di particolare importanza, hanno affermato che in caso di capitali conferiti a società fiduciarie di cui alla l. n. 1966 del 1939, lo strumento giuridico utilizzato per l’adempimento del contratto è quello del mandato fiduciario senza rappresentanza finalizzato alla mera amministrazione dei capitali medesimi, salva rimanendo la proprietà effettiva di questi in capo ai mandanti.

Di conseguenza, sotto il profilo patologico, la società fiduciaria che abbia mal gestito il capitale conferito, e che non sia quindi in grado di riversarlo ai mandanti perché nel frattempo divenuta insolvente, risponde sempre ed essenzialmente del danno correlato all’inadempimento del mandato e alla violazione del patto fiduciario, e la relativa obbligazione, quand’anche azionata mediante l’insinuazione concorsuale e parametrata all’ammontare del capitale conferito e perduto, è sempre un’obbligazione risarcitoria da inadempimento da mandato, la quale concorre, ex art. 2055 c.c., con quella eventuale dell’organo chiamato ad esercitare l’attività di vigilanza.

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Allegato:

https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/13143_04_2022_no-index.pdf

Crisi d’impresa: un piano attestato di risanamento non è sufficiente a consentire l’automatica esenzione da revocatoria

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La Corte di Cassazione con l’ordinanza del 25 marzo 2022, n. 9743 si è recentemente pronunciata su un’interessante controversia in tema di risanamento di impresa, stabilendo che il Giudice, per ritenere esenti da revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento, deve effettuare una valutazione, parametrata alla condizione professionale del soggetto cha ha contratto con il debitore, sull’attitudine del piano a permettere il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa.

Pertanto, al Giudice investito nel decidere sull’azione revocatoria, è demandato non solo il controllo della completezza e correttezza dei dati forniti dai debitori ai creditori, ma è altresì demandato il potere di valutazione nella natura del piano, con giudizio ex ante, nei limiti della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati

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Allegato:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20220325/snciv@s10@a2022@n09743@tO.clean.pdf

La Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla validità delle clausole c.d. claims made

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La Corte di Cassazione, discostandosi da un precedente orientamento in materia di clausole c.d. claims made, con la sentenza n. 12908/2022 ha affermato che le suddette clausole non vengono affette da nullità ai sensi e per gli effetti dell’art. 2695 c.c., nel caso in cui la decadenza della scelta del terzo di azionare la domanda risarcitoria, quale evento futuro ed imprevedibile, venga ritenuta, nel giudizio di meritevolezza condotto dal Giudice, coerente con la struttura del contratto di assicurazione contro i danni.

Nell’ambito delle c.d. clausole claims made, l’operatività della copertura assicurativa dipende da fatto non causato dall’assicurato. La richiesta del danneggiato è, pertanto, fattore concorrente nella identificazione del rischio assicurato ed, in tal senso, si viene a delineare l’appartenenza del fenomeno strutturale del c.d. “claims” al modello di assicurazione della responsabilità civile di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., che, a sua volta, rientra nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe.

Leggi la sentenza completa:

Allegato: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20220422/snciv@s30@a2022@n12908@tS.clean.pdf

Lo Studio legale Sanasi d’Arpe vince per Poste Italiane S.p.a. al Tribunale di Roma – IV Sezione Lavoro

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Lo Studio legale Sanasi d’Arpe ha ottenuto sentenza favorevole al Tribunale di Roma per Poste Italiane S.p.a. nell’ambito del contenzioso avente ad oggetto patto di prova e licenziamento (D.lgs. 23/2015).

Il Tribunale accogliendo le argomentazioni proposte della difesa di Poste Italiane, ha respinto le richieste del ricorrente, condannandolo al pagamento delle spese di lite.

Allegato: https://www.sanasidarpe.it/wp-content/uploads/2022/04/sentenza-n.-643_2022-del-25.01.2022.pdf

Le Sezioni Unite sulla prededucibilità dei crediti sorti “in funzione” del concordato preventivo

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Le Sezioni Unite civili, a risoluzione di un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111, comma 2, l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria“.

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https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/42093_12_2021_no-index.pdf

Le Sezioni Unite sulla validità delle fideiussioni bancarie riconducibili allo schema ABI

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Con la recente pronuncia del 30 dicembre 2021 n. 41994, la Cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto afferente la questione delle fideiussioni che riproducevano le clausole del contratto secondo lo schema tipo ABI, già giudicato contrario alle regole della concorrenza antitrust, giacché frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza.

In particolare, la sentenza afferma il principio secondo il quale le clausole coincidenti con il contratto tipo sono affette da nullità parziale, restando viceversa valido il contratto di fideiussione a valle.

Leggi il documento completo:

https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/36596_11_2021_no-index.pdf